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Si sa che nella vita ci sono persone che pongono limiti a sé stesse e altre che si impongono obiettivi. Margaret apparteneva a quella particolare categoria che trova il proprio personale obiettivo nel non porsi mai limiti.
Come tutte le signore che hanno oltrepassato la sogli a dei 65 anni, riscopriva ogni giorno frammenti di quel passato lontano che aveva intrecciato i fili della sua esistenza. Il complesso arazzo che ne derivava raccontava di emozioni vissute, di avventure mai concluse e di rimpianti mai provati.
Se ne stava lì, seduta a quel tavolo, sempre lo stesso, della maestosa biblioteca interna alla facoltà di teologia. Dita educate appartenenti a mani corrugate, manovravano, sagge, le forbici sulla carta del giornale. Il tempo passava nell'immobilità del silenzio.
Margaret impiegava al massimo una settimana per terminare ogni lavoro e quando tutte le lettere prendevano forma e logica sul foglio A4 bianco, per lei era sempre una soddisfazione immensa. Tale soddisfazione celava le gelide lacrime che le affogavano l'anima.
Il morbo di Alzheimer le era stato diagnosticato ormai da tre anni, una malattia terribile che si nasconde, silenziosa come un'ombra, sotto la superficie della pelle e tace, aspetta, logora. E con lei aspettava Margaret, tagliando e incollando lettere impersonali sulla sua risma di fogli. Era diventato un rituale, un momento di catarsi così profondo che anche l'ambiente circostante sprofondava nella nebbia della sua mente.
Tagliava e Incollava. Tagliava e Incollava.
Era previdente, Margaret, per quello che la malattia neuro-degenerativa di cui era affetta le consentiva. Tutte le sue composizioni la guardavano, placide, dal comodino in attesa di essere imbucate. Non credeva in Dio, ma era paziente. Se fosse finita all'inferno avrebbe atteso che la pena a lei inferta fosse terminata, quindi sarebbe ascesa al regno dei cieli. Ma non ci credeva veramente, piuttosto credeva di essere già morta, di star già scontando una condanna, quella più atroce che potesse immaginare: il dimenticarsi di tutto e tutti, anche di sé stessa.
Con le lettere ritagliate dai giornali componeva nomi. Nomi propri di persone che aveva conosciuto, o che forse aveva conosciuto, ma comunque nomi che le ricordavano qualcosa. Quei fogli li avrebbe poi imbucati alla Posta. L'indirizzo del destinatario lo conosceva bene, se lo ricordava in modo nitido e, nel caso le fosse sfuggito, sarebbe bastato alzare la testa sull'uscio del portone. Il destinatario era lei. Margaret temeva più della morte una sola cosa: restare sola senza ricordi, senza i suoi bellissimi ricordi. Così aveva deciso di asportare le lettere alfabetiche più impersonali che ci fossero, ossia lettere sparse ritagliate da giornali e riviste, applicandole su ciò che di meno suggestivo esistesse: un foglio bianco. Quelle lettere rappresentavano lei, il loro significato la sua vita che le sarebbe stata raccontata , una volta che la malattia avesse preso il sopravvento, proprio da quei fogli e da quei nomi.
Gli anni passavano, l'Alzheimer no. Margaret decise che era venuto il momento. Si vestì, incerta sul da farsi, ma una cosa le sfuggiva... "Ah già! I fogli. Dove li avrò messi?" Mise a soqquadro l'abitazione, ma la preziosa risma di ricordi impersonali non si trovava. Stremata dalla ricerca si addormentò sulla poltrona. Non sapeva quanto avesse dormito, forse un'ora, forse un anno. Ma alla fine che cos'è un anno? Si svegliò intontita. Qualcuno suonava alla porta. Il postino le consegno una grossa busta gialla, Margaret firmò e chiuse la porta.
Abbandonò la busta sul tavolo, non le importava cosa contenesse. Alla televisione c'era il telegiornale.
Gianluca 'Miguel' Minuto
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