Canto V dell’Inferno dantesco, Paolo e Francesca, Dante
eclissa la loro anima dannata con l’immagine di un amore necessariamente
corrisposto per giustizia divina, per un paradigma letto e memorizzato dal libro
galeotto che li lasciò nelle mani del destino maledetto. La Juventus e Antonio
Conte si sono amati: hanno flirtato ed hanno lasciato il porto insieme come
Jack e Rose e dopo tre anni sono affondati contro un iceberg di bugie e verità
non dette, come se iceberg non ne avessero già schivati abbastanza. Ma quanto
questo amore era reciproco? Quanto trasporto c’era? Questo non si sa e forse
non si saprà mai. Il secondo giorno del ritiro di luglio, dopo la clamorosa
notizia del suo addio alla sua Signora, nessuno avrebbe mai auspicato il suo
approdo sulla panchina della Nazionale per una serie esponenzialmente grande di
fattori. Conte, il sergente di ferro, colui che si alimenta di campo, di corsa,
di allenamenti, va ad allenare a 45 anni una Nazionale problematica e saltuaria
come quella azzurra? Per carità, la sfida è allettante e Antonio ha dimostrato
quanto sia attratto dalle sfide; ma la scelta non mi ha mai convinto come non
ha convinto molti altri tifosi di calcio. L’ex allenatore della Juve sembrava e
sembra oggi il Messia, l’unico in grado di risollevare le sorti della selezione
azzurra dopo la débâcle doppia: 2010-2014 firmata dalla leggenda Lippi e dal
desaparecido Prandelli. Esordio ottimo con due schiaffi rifilati agli Oranges,
autori di uno splendido mondiale sotto la guida illuminata di Van Gaal, match
di qualificazione per gli europei discreti: la squadra appare spesso spaesata e
carente di talento.
In questo momento storico è inutile nascondersi, in Europa
abbiamo almeno 5-6 squadre davanti: naturalmente la Germania, la Spagna che non
muore mai, l’Inghilterra che sta attraversando un ricambio generazionale
strepitoso (vedi i vari Sterling, Kane, Chamberlain, Shaw, Chambers…), il
Belgio dei fenomeni (mi sbilancio: potenzialmente la squadra più forte d’Europa!),
la Francia dei gioielli (Pogba e Kondogbia coadiuvati dalla coppia Griezmann-Benzema)
e, ultima ma non ultima, la Croazia dei ragazzi geniali e del centrocampo illuminato
(Rakitic, Modric, Kovacic, Brozovic, Perisic, senza dimenticare la punta Mario
Mandzukic). Conte invece tira una coperta cortissima che ha assistito ad un
ricambio generazionale assolutamente deludente, anche vittima di un esterofilia
italiana preoccupante e di un lavoro scarso sia come risorse economiche, sia
come scouting sui settori giovanili. Ecco allora che il tecnico salentino pesca
a piene mani ai confini delle cittadinanze e delle regole della FIGC: Eder
riceve la convocazione tramite il bisnonno italiano, Vazquez grazie alla madre
italiana e Dybala ci snobba sognando albiceleste. Per quanto i due ragazzi convocati
siano assolutamente talentuosi e meritevoli per quanto dimostrato in stagione,
qualche anno fa non sarebbero mai rientrati nemmeno nei 30 pre-convocati per un
mondiale. Non nascondiamoci dietro l’inutile polemica “oriunda”: il problema
non sono le convocazioni (comunque “particolari” di Conte: perché gente come
Sansone, De Silvestri, Croce e Rigoni restano a casa?) di Conte, ma la rosa
poverissima di scelta che ha il ct, soprattutto per il lavoro pessimo che si è
svolto dopo il glorioso 2006. Antonio non può da solo risollevare una zattera
che imbarca acqua da tutte le parti ma, paradossalmente, il primo a voler
saltar giù sembra essere proprio lui: minacce continue, velate o per mezzo
stampa, addii ventilati, proposte fantasma: insomma Antonio, quanto credi in
questa matta rincorsa azzurra, quanto credi nel progetto Tavecchio? Purtroppo,
agli occhi di tutti, sembra che il giovane commissario tecnico stia cercando il
capro espiatorio buono per evadere da questo ben remunerato (4 milioni)
impegno: che dietro ci sia la proposta di un progetto più abbordabile? Che sia
stato invitato in un ristorante da 100 euro?
Questo non si sa, ma questo
continuo malcontento e le continue punzecchiature con la Juventus non fanno
bene alla Nazionale Italiana: si è partiti con la richiesta degli stage, mal
accolta dalla propria ex società, e si è concluso con lo scontro con John
Elkann sul “mistero Marchisio”. Altro punto d’analisi e scontro: al
centrocampista bianconero dapprima viene diagnosticata la rottura subtotale del
crociato anteriore (per intenderci un infortunio simile a quello che ebbe Del
Piero), provocando lo sconforto dell’ambiente Juve che vede l’ennesimo suo
giocatore tornare alla base, dopo esser stato sotto la cura-Conte, con un
problema di qualsivoglia natura. A mente lucida si dev’essere fatalisti, l’infortunio
occorso a Marchisio poteva accadere anche a Vinovo sotto gli occhi di Allegri e
del suo staff, ma non è finita qui. Vanno subito sotto accusa i metodi d’allenamento
del tecnico salentino: le doppie sedute continue a fine marzo, con le gambe già
logore, non sono una mano santa, né una scelta conservativa nei confronti dei
club che concorrono per traguardi importanti, ma Conte sta svolgendo il proprio
lavoro e nessuno dovrebbe metterci becco. Marchisio torna mesto a Torino, sotto
la strumentazione della clinica Fornaca si sottopone ad ulteriori accertamenti:
nessuna lesione, solo una lieve distorsione. Crolla il castello e Conte viene
scagionato da un delitto mai compiuto, ma le diatribe con l’ambiente juventino
non si placano affatto: continue frecciatine e parole al veleno, testimoni di
quanto le due parti si siano lasciate in malo modo. Tutte le polemiche
costituiscono il contenuto su cui dibattere, senza mai rivelare le crepe della
loro relazione più profonda. Anche parte della tifoseria ha storto il naso di
fronte alle scelte ed alle parole del proprio ex mister, nessuno ha
dimenticato, ma tutti hanno sentito e spesso le parole fanno più male dei gesti.
Ormai i due amanti viaggiano su binari diversi, ma martedì, Antonio tornerà a
casa e ritroverà Francesca ed è proprio allora che Dante riprenderà in mano la
penna: sarà “amor c’ha nulla amato amar perdona”?
Stefano Uccheddu
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