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Passeranno intere stagioni in cui, la cosa più bella e utile da fare sarà guardare la pioggia scendere inesorabile sul vetro della finestra della propria camera, dove l'unica luce che brilla è quella spenta di una lampadina a basso consumo. Non esisterà mai una legge fisica che ci possa spiegare perché il tempo viaggi in maniera inversamente proporzionale alla quantità di cui se ne ha bisogno. Sarà un grosso disegno provvidenziale di qualcuno che ci ha programmati per essere così: esseri viventi, ma costantemente alla ricerca di tempo.
Passiamo una vita intera a bruciare le tappe, a rincorrere le chimere, per poi sederci ad un tavolino, implorando ai granelli della clessidra di fluttuare e rimanere sospesi per poco tempo, giusto il momento di un'ultima possibilità. Siamo addirittura in grado di sperare di poter tornare indietro. Sarebbe bello oggi, poter spostare le lancette indietro di un anno e rivivere quei momenti.
Assaporare un'ultima volta quella sana tensione che solo l'esame di maturità può far provare. Sarebbe bello poter ascoltare ancora una volta il sussurro dei banchi che, come gli anziani seduti sulle panchine di un comune parco giochi, ne hanno viste tante; e le vogliono raccontare, con quei tagli e quelle scritte, con un sussurro fragoroso, nel mare del silenzio. A distanza di un anno si capisce che è tutto un grande ciclo che non si interrompe mai: come il giorno e la notte, come lo scorrere delle lancette sull'orologio e il tic-tac del vecchio orologio da parete di mia nonna: ieri a me, oggi a voi. Eppure non me ne sono reso conto, per me, non è passato un anno.
Solo una cosa ci avverte che il tempo sta passando: le foglie. Loro cadono, instancabilmente cadono, sul terreno freddo: quasi come fosse una sentenza, come se fossero loro a dover scandire i battiti dell'orologio di questa vita umana.
E così passa la notte, passa un altro anno e cadono le foglie.
Stefano Uccheddu
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