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Dal tuo diario mai scritto,
Parlami di te
Le foto non bastano, non servono più. I sepolcri sono freddi
come i corpi senz'anima e urlano un silenzio non richiesto, un silenzio che
sente la notte, la conosce, la percepisce e me la fa percepire non appena
poggio l'orecchio sul cuscino gelido, come te. Non è il momento di guardare in
cucina per sentire la chiave nella toppa, non lo è più. Rifletto riflettendo la
mia immagine in un angolo di noi e spiegazione non trovo, se non che tutto qui
è diverso. Guardo ogni giorno la mia immagine allo specchio cercando un
riflesso di te, ma lo specchio non dice nulla, perché non fa che riflettere la
realtà e nella realtà noi siamo distanti da non riuscire a vederci senza
sognarci. Il sogno è quanto di più bastardo ci possa essere: ne approfitta,
aspetta che io abbassi la guardia, aspetta che io perda ogni difesa per
colpirmi dritto in volto per poi svanire, senza darmi il tempo di rispondere.
Non credo che tu sia in un posto migliore, altrimenti mi avresti portato con
te. Chissà quante volte sei affianco a me e respiri etereo, chissà quante volte
scrivi tu al posto mio, chissà temi anche tu la notte come la temo io. Guardo
il fondo del letto avvolto dal buio più totale, parlando con nessuno o forse
con quella foto che, incorniciata in un taglio di vetro, mi parla di te più di
quanto possa fare tu in questo momento. Resto seduto qui, con la schiena
poggiata alla pietra fredda che, senza repliche, mi riporta antiteticamente al
mondo: è ora che ti ascolto, ora che non parlano più le foto, parlami di te.
Stefano Uccheddu
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