giovedì 5 marzo 2015

CIÒ CHE RESTA DI LUCIO

O meglio, quel che resta di Lucio Dalla nella mia raccolta CD e in quella degli italiani.




Sia chiaro, per raccolta CD intendo un concetto più ampio di uno scaffale ripieno di CD, anche perché ho troppi scaffali che rispondono a questa descrizione. Alcuni sono in camera mia, altri in salotto, uno nell'ingresso, parecchi nel mio computer e molti di più negli oscuri e confusi meandri del mio encefalo, suppongo nei dintorni dell'ippocampo.

Mi trovo solo oggi nella situazione di chiedermi che spazio occupi Lucio Dalla in questo confuso sistema di archiviazione e nell'ancora più confuso e complesso sistema di archiviazione della musica italiana, oggi che il cantante bolognese avrebbe dovuto compiere 72 anni, oggi che, a due anni dalla sua morte, ci pesa ancora di più la sua assenza.

Ho incontrato la musica di Dalla per la prima volta da bambino; avevamo una cassetta in macchina con dei pezzi suoi, e una di Lucio Battisti. C'erano poche canzoni, le più famose 'Piazza Grande', '4 marzo 1943', 'Quanto è profondo il mare' e qualche altra meno conosciuta, quelle che piacevano a mio padre 'Anidride Solforosa' o 'Itaca'. Ricordo che ascoltavo e riascoltavo quella cassetta con la rara e forte sensazione di sentire qualcosa di mio, che mi appartenesse molto più della musica della radio e dei dischi di rock anglosassone che avevo a casa. Non ne capivo assolutamente il significato, mi stupivo addirittura di apprezzare l'ascolto di quelle anticaglie italiche prodotte in un periodo in cui America e Inghilterra erano avanti anni luce in termini di innovazione musicale.

Mi resi conto più tardi, che ciò che mi colpiva non era tanto l'originalità o l'innovazione, nemmeno la voce stupenda di Dalla, quanto l'italianità della musica, la profonda consapevolezza di ascoltare qualcosa di nostro, pieno, strapieno di tutte quelle cose che ci distinguono dal resto del mondo. Dalla fa parte di quei pochi autori che hanno saputo aggiungere qualcosa di nostro alle influenze della musica straniera, un amante del Jazz, del Soul e del Rock, che cedeva con piacere alla contaminazione, ma non sapeva resistere all'impulso di condire il tutto con quella straordinaria sensibilità melodica che è alla base della nostra tradizione musicale ed è il segreto del suo genio.

Quel che resta di Lucio è quel che resta di un grande artista, di un uomo capace di scrivere piccoli frammenti di storia italiana, di plasmare melodie indimenticabili come Caruso, Piazza Grande e le tante altre che resteranno, incuranti del trascorrere del tempo, attraverso di noi.



Ha scritto per voi e per Informazione Gialla, Pietro Pagliana

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