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E ancora una volta mi ritrovo nello stesso guaio. Gli stessi camici, gli stessi sorrisi, le stesse urla.
È più forte di me, una provocazione interna e inconscia che non riesco a reprimere, quella sensazione che ci porta a desiderare il Sole senza però attraversare il cielo.
La luce filtrata dal finestrino dell'auto viene interrotta dalle fronde dei pioppi che fiancheggiano la strada sterrata. Non appena varco i cancelli del St Mary, tutto incomincia a confondersi con le immagini sfocate provocate da questa realtà effimera. Il tutto finisce e il tutto ricomincia, come una pellicola montata al contrario su un proiettore scadente di un cinema di provincia.
I miei piedi strisciano sul marmo bianco del lungo corridoio che porta la mia esistenza a quella stanza che ho soprannominato 'Cucina'. Un tavolo al centro, alti scaffali lungo le pareti, uomini in grembiule e.. quella bellissima teca contenente coltelli immacolati, dai più spessi e sgraziati ai più fini ed eleganti.
Il metallo del tavolo mi raffredda la schiena regalandomi indomiti scossoni provocati dai brividi che percorrono il mio corpo inerme. Le facce si affollano nel mio campo visivo che pian piano si riduce ad un flebile spiraglio di luce. I coltelli iniziano a danzare.
Spaccatomi il corpo non si prendono anche la mia anima, quella sembra non interessare loro. La sutura lungo il fianco corre selvaggia senza una fine riallacciandosi alle cicatrici precedenti. Come incise sulla corteccia, si leggono storie sul mio corpo. È un racconto breve, di un amore sconfinato come il mare ma rilegato su di un solo pianeta, di una mano lasciata a morire sola, di un debito senza creditori.
L'orario delle visite viene annunciato con la solita campana rintoccata tre volte. Mi servono due stampelle per raggiungere il 'Piano visite' dove lei attende impaziente.
Il suo sguardo sfugge il mio, ma quello della creatura che tiene per mano mi trafigge l'anima. Un sorriso a due o tre denti mi abbaglia come l'ultimo sole d'autunno, la luce delle sue cornee si mischia al bianco delle pareti che mi stritolano, ormai, da non so quanto tempo. Forse è questo il significato di perdere qualcosa ma ritrovarselo davanti ogni weekend, separati da una lastra di un materiale così gentile quanto il vetro che però non può essere infranto nemmeno di quanto più grezzo esista al mondo, una pallottola. Solo i pensieri lo oltrepassano, ma la mia voce, al telefono, non si sente.
Suona la campana, a morto, forse, e le due figure si allontanano nascondendosi dal mio sguardo.
La legge è la legge, la legge è per chi non vale un cazzo. Questa legge mi ucciderà lentamente, svuotandomi dei miei organi per ripagare il debito di sangue di cui ho sporche le mani. Questa legge che mi consente di guardare attraverso un vetro rinforzato la vita che mi sono lasciato sfuggire. La legge non si discute, almeno, non la discute chi ne sta fuori o al di sopra.
La pianta del piede avverte ancora il freddo del pavimento di marmo, le falangi dell'indice accompagnano il muro del corridoio, ma la mia mente vola oltre le torri dell'istituto.
Ancora una volta nella Cucina. Ancora una volta, forse l'ultima, la collezione di coltelli.
Spaccatomi il corpo non si prendono anche la mia anima, quella sembra non interessare loro. La sutura lungo il fianco corre selvaggia senza una fine riallacciandosi alle cicatrici precedenti. Come incise sulla corteccia, si leggono storie sul mio corpo. È un racconto breve, di un amore sconfinato come il mare ma rilegato su di un solo pianeta, di una mano lasciata a morire sola, di un debito senza creditori.
L'orario delle visite viene annunciato con la solita campana rintoccata tre volte. Mi servono due stampelle per raggiungere il 'Piano visite' dove lei attende impaziente.
Il suo sguardo sfugge il mio, ma quello della creatura che tiene per mano mi trafigge l'anima. Un sorriso a due o tre denti mi abbaglia come l'ultimo sole d'autunno, la luce delle sue cornee si mischia al bianco delle pareti che mi stritolano, ormai, da non so quanto tempo. Forse è questo il significato di perdere qualcosa ma ritrovarselo davanti ogni weekend, separati da una lastra di un materiale così gentile quanto il vetro che però non può essere infranto nemmeno di quanto più grezzo esista al mondo, una pallottola. Solo i pensieri lo oltrepassano, ma la mia voce, al telefono, non si sente.
Suona la campana, a morto, forse, e le due figure si allontanano nascondendosi dal mio sguardo.
La legge è la legge, la legge è per chi non vale un cazzo. Questa legge mi ucciderà lentamente, svuotandomi dei miei organi per ripagare il debito di sangue di cui ho sporche le mani. Questa legge che mi consente di guardare attraverso un vetro rinforzato la vita che mi sono lasciato sfuggire. La legge non si discute, almeno, non la discute chi ne sta fuori o al di sopra.
La pianta del piede avverte ancora il freddo del pavimento di marmo, le falangi dell'indice accompagnano il muro del corridoio, ma la mia mente vola oltre le torri dell'istituto.
Ancora una volta nella Cucina. Ancora una volta, forse l'ultima, la collezione di coltelli.
Gianluca 'Miguel' Minuto
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