Si ripropone sul web "Sarabanda", il quiz che ha reso immortale Enrico Papi
1997-2004 - Non sono stati sette anni comuni per la televisione italiana, sono stati i sette anni che hanno consacrato al folklore generazionale italiano le facce di Enrico Papi, dell'Uomo Gatto, di Liano, il mitico pianista, dell'Uomo Cobra, dell'Uomo Gallo, della Donna Gufo e di tanti altri ancora. Qualche volta mi viene da pensare ai volti dei miei genitori, ai loro sguardi interrogativi puntati su di me, assiduo consumatore giornaliero della mia dose quotidiana di Sarabanda. Non riesco ancora a capirli, quegli sguardi straniti. Quel programma era la prima goccia della linfa vitale che avrebbe animato nel seguente futuro documentari intellettuali come 'La pupa e il secchione', 'Tamarreide', 'La Fattoria', 'Superquark', no forse l'ultimo no.
La scelta dei personaggi - Se Mediaset fosse stata in cerca di quel brivido di lucidità mediatica in grado di contrastare StudioAperto o il TG5, beh ci è riuscita. Sarabanda parte subito in quarta (non serata), macinando ascolti record per un varietà. La parabola, però, diviene discendente dopo qualche anno e lì, proprio in quel momento, precisamente nel biennio 2002-2004, si cade nell'anarchia intellettuale più totale. Come funghi spuntano in quel che sembrava un terreno ormai arido, personaggi della caratura filosofica come L'Uomo Gatto, L'Uomo Cobra, El Tigre ecc...
Questa scelta si rivela la carta vincente. L'audience (soprattutto grazie alle nuove generazioni) cresce a dismisura. La trovata di intrecciare una trama - come nei migliori film di Lory del Santo - con un quiz musicale è acclamata da tutti, tranne da chi ci capisce veramente qualcosa di spettacolo, fotografia e televisioni.
I balletti delle 'girls' mettono d'accordo i papà con i figli, gli stacchetti di Enrico Papi fanno fare passi da gigante sui metodi compassionevoli per l'eutanasia e l'ormai consolidato protagonista, L'Uomo Gatto, rimane tutt'ora oggetto di indagine psicologica delle migliori università del mondo.
Gianluca 'Miguel' Minuto
Alzi la mano chi non ha mai sperato che l'Uomo Gatto venisse inghiottito dalla curva dei tifosi del Bayern Monaco. Gabriele Sbattella, in arte "Uomo Gatto" o "Gattoman", è lui la chiave di tutto, Gabriele è il successo. Chi può dimenticare le sue splendide rappresentazioni: dall'Amleto, a Romeo e Giulietta (quest'ultima interpretata da un commovente "Uomo Gallo"), non dimenticando lo splendido tributo a John Travolta, con la messa in scena di un Grease a dir poco aberrante. Eppure tutto ciò funzionava, ma perché Sarabanda ha avuto questo successo? Perché la Mediaset e gli autori del programma hanno impostato un'idea di entertainment diversa, per certi versi innovativa per la televisione italiana che vedeva il pubblico come centro dello spettacolo, non il prodotto in sé.
L'Uomo Gatto dal fervore tedesco, maltrattato, scontroso ed odiato dallo studio, è stata solamente una folle idea, concretizzatasi grazie a noi, i fruitori del programma. Questa strategia comunicativa, ampiamente utilizzata già negli anni Novanta negli USA dove, proprio in questi anni, si assiste al boom del pro-wrestling entertainment, colpisce ancora e colpisce a suon di tradizione e cultura musicale. Le entrate sceniche a bordo di carroarmati (vedi l'ingresso in scena di Sterminator, materiale per logopedisti), in groppa a cammelli scortati dalle forze dell'ordine (vedere per credere la storica ascesa di "El Tigre" di Fiano Romano, storico rivale dell'Uomo Gatto) sono solo le ultime innovazioni che avvicinano Sarabanda e Papi al business con cui la famiglia McMahon diventerà multi-milionaria negli anni a seguire.
Papi è lo splendido mediatore di un programma che si fonda su due concetti, anch'essi di matrice statunitense: "Heel", i cattivi, i personaggi odiati dal pubblico contro i "Face", i buoni, i beniamini del pubblico. Il cattivo storico, l'Uomo Gatto, era riuscito nel suo intento: si faceva odiare, lo odiavano tutti, tutti lo scherzavano ed è proprio per questo che oggi tutti, al sentir pronunciare "Sarabanda", non possono che pensare alla sua faccia, tanto odiata, ma dannatamente "riuscita".
Stefano Ucccheddu
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