martedì 28 aprile 2015

Diario di Guernica - Confessioni di uno schiavo



Spezzava le catene, liberava me e di me raccontava una storia che non ho mai scritto, mai letto e nemmeno mai pensato. Parlavo da uomo libero e, disegnando il destino sul cuore freddo di un davanzale in marmo, mi convincevo che le spire del serpente non stritolassero, ma mi abbracciassero forte per non lasciarmi andare. Ero e sono un'anima nera, macchiata, forse marchiata, ferita, vagabonda e mendicante senza appiglio alcuno. Ho ballato con lei, le ho parlato e l'ho sentita rispondermi: ho ascoltato la sua voce prima di dormire, prima di mangiare, anche prima di abbracciare mio figlio. Mi ha seguito, perseguitato senza importunarmi. Cosa racconterò domani? Parlerò di te, di ieri e dell'altro ieri ancora? 
Ti hanno amata in tanti, sei la escort che cammina sulle travi della società, silenziosa puttana donata di ubiquità. Tanto sei polvere, sabbia e rabbia di chi ti ha amata, se non venerata. Doveva finire così, io incatenato di nuovo all'Inferno, tu libera ad amare come la vedova nera, a far parlare di te nei muri di pietra e nelle camere degli ori. 
Scrivo esanime su un foglio di carta velina, ma tanto marcio è il pensiero che il foglio buca, straccia e macchia. Tu che mi hai strappato l'anima ed ora lasci di me un involucro vuoto, non mi hai mai reso libero. Mi hai sussurrato di tradimenti, lusso e libertà; non hai mai parlato di peccato, dolore e morte: mi hai reso schiavo per potermi stritolare tra le tue spire, proprio tu che di mani per contare ne hai milioni, di prigioni centinaia, di me hai perso il conto. 
Se non dovessi svegliarmi, dimenticatevi di me, vuoto contenitore di un'anima marchiata, ma leggete quello che ho scritto e siate liberi, più liberi di me, liberi da lei. 

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