Siamo nei primi anni Duemila e nel palinsesto di Italia 1, tra i soliti cartoni e le solite serie tv riciclate all'infinito, spunta un nuovo format, una nuova sensazione americana: WWE Domestic Smackdown! In breve tempo, lo show patrocinato dalla famiglia McMahon divenne non solo una grande attrazione televisiva, ma una vera e propria fonte di business: giochi di carte collezionabili, t-shirt, i primi shop online dove si poteva acquistare ogni bene raffigurante la propria superstar preferita. Prima di analizzare i motivi del successo del pro-wrestling in Italia, vi spiego cos'è Smackdown e cosa si intende per pro-wrestling.
Cos'è il pro-wrestling? Smackdown è il vento del cambiamento
Domestic Smackdown è uno dei due show (a tutt'oggi) principali della World Wrestling Entertainment, meglio conosciuta come WWE. In questo show, si esibiscono atleti, i wrestlers, che hanno un principale scopo, identificabile come la chiave del pro-wrestling stesso: intrattenere il pubblico. Non esiste una definizione da dizionario del pro-wrestling, ma se dovessi darne una, lo definirei come "uno show con una fine predeterminata, dove due o più atleti professionisti, al solo scopo di intrattenere il pubblico, si esibiscono in mosse derivanti dalla lotta libera e da vari stili di combattimento". I wrestlers hanno un doppio ruolo all'interno di una federazione: saper lottare e saper recitare, poiché è proprio muniti di microfono che i protagonisti intrecciano la maggior parte delle faide che vedranno l'epilogo poi in un match di wrestling. Non è solo sport, è sport "entertainment" e proprio in quanto tale, per definizione, ha come scopo primario quello di intrattenere il fruitore del programma. Questa nuova visione di sport, abbinata alla lotta greco-romana, alle magie dei vari high-flyers della scuola messicana, alle sottomissioni della scuola giapponese, è la giusta miscela: l'Italia diventa fan della WWE.
Fenomeno wrestling: l'Italia ai piedi di Vince McMahon, ma qualcosa si rompe
Da trasmissione rivelazione, fino a diventare un'ossessione: l'Italia è autenticamente schiava del business di Vince McMahon, il padrone della WWE: non c'è bambino che non indossi la maglietta di una superstar, non c'è adolescente che non si riveda nelle gesta del proprio beniamino, ma è proprio qui che comincia l'inesorabile fase di declino del prodotto in Italia. Si cade dal semplice ammirare allo sciocco imitare: cominciano a comparire i primi servizi di violenza al pc, la cui causa veniva ricercata nello show in onda ogni sera su Italia 1, cominciava così la demonizzazione del wrestling.
"Always loved, never understood"
Intere pagine, interi pomeriggi dedicati al "mostruoso wrestling" nei salotti di disinformazione: associazioni dei genitori indignati, bulli-wrestler ed un prodotto finto, che non va imitato, ma deriso e demonizzato. Erano sempre di più i richiami alla non violenza all'interno dello show commentato da Giacomo 'Ciccio' Valenti e Christian Recalcati: "Don't try this at home!". Sempre più richiami, sempre meno ascoltatori, soprattutto perché la maggior parte dei genitori, terrorizzati dai richiami mediali, vietavano la visione del programma. WWE Domestic Smackdown scompare com'era comparso, in punta di piedi, nel disinteresse generale. Questa soluzione non ha portato francamente a nulla: il wrestling è stato soltanto l'ennesimo capro espiatorio per sciacquare le coscienze degli italiani che, magari, la violenza, quella definita "vera", la attuano tra le mura domestiche.
Quali sono stati i risultati per la WWE e per il wrestling in generale? Nessun rimpianto, nessuna conseguenza tanto che, due tappe del tour europeo della federazione sono sempre riservate al pubblico italiano. Negli USA, il massimo evento annuale dell'azienda di Vince McMahon, Wrestlemania, è seconda solamente al Super Bowl per pubblico ad esso connesso ed affetto della popolazione.
Sempre amato, mai capito: questo è stato il wrestling in Italia.
Stefano Uccheddu