Il Milan di Pippo e “Lady B”
Arido, spento, inconsistente, avulso: il Milan di Pippo
Inzaghi esce dall’Olimpico di Roma con una sonora sconfitta, ricevuta per mano,
verga e pugnale di una splendida Lazio che ha dominato il match giocando un
calcio arioso e moderno, al cospetto di una squadra che vive di ricordi,
trascurando il presente, ma soprattutto il futuro. Ma di chi è la colpa? Chi ha
il compito di riportare il Milan dove merita di stare e competere? Proviamo a
scoprirlo analizzando le 4 figure cardine di questa squadra.
Un anno in pretura:
Berlusconi vede il Milan dalle aule di tribunale
Silvio Berlusconi è stato il presidente che, più di chiunque
altro, ha segnato la storia del Milan: il Milan degli olandesi (Van Basten e
Ruud Gullit), il Milan del calcio totale del maestro Arrigo Sacchi, il Milan
delle stelle di Carletto Ancelotti, passando per Fabio Capello ed i suoi
invincibili e tanti altri anni costellati di storie di calcio, campioni e
successi. Oggi più che mai, però, Silvio Berlusconi è lontano dalla sua
creatura per motivi strettamente personali: i vari processi in cui è implicato,
spesso lo costringono a rimanere dietro le quinte, lasciando il ruolo di front-man a terzi, sicuramente meno
furbi e carismatici dell’ex presidente del Consiglio e, paradossalmente, ma non
troppo, a patirne le conseguenze è proprio la sua società. Tralasciando le
questioni extra-calcistiche, il Milan avrebbe bisogno, ora più che mai, della
capacità mediatica e comunicativa del suo presidente. È tornato, dopo parecchi
mesi, a Casa Milan per spronare e caricare la ciurma di Pippo Inzaghi, ma
diciamo che l’esito non è stato assolutamente benevolo. Tra Arcore ed il Patto
del Nazzareno, c’è un Milan da salvare, e forse non solo metaforicamente…
Casa Milan, il
Diavolo veste Barbara
Due amministratori delegati, in una stessa squadra di
calcio, raramente si sono mai visti. Barbara Berlusconi è stata insignita di
questo controverso ruolo di affiancamento, circa due anni fa, quando le vennero
affidati poteri gestionali ed economici, limitando l’estro e levando una gran
manciata di potere dalle mani di Adriano Galliani, volto storico del Milan
targato Berlusconi. Per quale motivo è stato attuato questo provvedimento? Non
si sa, non è mai stato detto e probabilmente mai si saprà. L’affiancamento ad
Adriano Galliani è stato piuttosto burrascoso: dal veto alla cessione Pato,
quando lo storico AD già cenava con Carlitos Tevez, ai musi lunghi del Camp
Nou, quando la bella Barbara preferiva gli sms alla partita che il solito
Adriano viveva con la sua solita tragicomica tensione. A “Lady B” è stata
affidata la paternità, o meglio la “maternità”, del progetto “Casa Milan”:
bellissima struttura, innovativa, intelligente operazione di marketing, figlia
onnivora della storia rossonera, ma sotto le sue fondamenta quanta polvere è
stata nascosta?
Adriano Galliani: un
po’ Giordano Bruno, un po’ coscienza kantiana
Un po’ come il grillo parlante nella splendida favola di
Collodi, Pinocchio, Adriano Galliani è dal 1986 l’amministratore delegato
dell’AC Milan. Sotto l’ala protettrice di Silvio Berlusconi, Galliani si è
sempre dimostrato astuto e geniale, fungendo non solo da primo tifoso
rossonero, ma anche da coscienza kantiana: uno splendido mediatore tra la
smania del suo presidente e le ambizioni dei propri tifosi, senza trascurare il
benessere ed il supporto emotivo e fisico alla squadra. Genio ed artista del
calciomercato, ha piazzato grandissimi colpi di mercato anche quando le finanze
del club non erano proprio rosee. Non ha mai rinnegato, come Giordano Bruno, le
proprie convinzioni: il Milan prima di qualunque cosa, anche di fronte alla
tortura, anche di fronte alla gogna, ha sempre difeso la sua società come una
figlia e di questo non si può che dargliene pieno merito. In tanti anni, tra
successi, finali europee e coppe alzate al cielo, c’è stato qualche errore,
qualche intoppo, ma gli ultimi anni sono stati e sono un vero e proprio incubo
per lo storico braccio destro di Silvio Berlusconi. La prepotente ed
ingiustificata entrata in scena di Barbara Berlusconi, con conseguente perdita
di poteri, è stata sin da subito deleteria per la figura di Adriano Galliani
che, spento e logoro, sembra avvicinarsi al patibolo insieme a tutti gli
eretici, ma vi si avvicina fiero: sa di non aver mai tradito i suoi ideali.
“Tu quoque, Pippo,
fili mi”
Dopo Clarence, anche Pippo pugnala il presidente alle
spalle, proprio all’uscita di San Siro. Sbaglia ancora Berlusconi che si fa
trasportare dai ricordi, dai sentimenti e dai sogni. Sognando Atene, in
un’afosa notte di giugno ha scelto di affidare la guida tecnica a Pippo
Inzaghi, splendido mattatore dell’ultima finale vinta dal Milan di Carlo
Ancelotti. Il ragazzo, per il fido AD Galliani, ha la stoffa per sostituire
l’ingrato e tutt’un tratto indesiderato Clarence Seedorf, che incarna alla
perfezione la parabola “da prescelto a peso”. Sembra l’uomo giusto, ha vinto
con gli Allievi, ha fatto benino con la Primavera, non ha bisogno di gavetta:
farà il grande salto subito, come Pep Guardiola. Alt! Fermiamoci un attimo…
Allenatori come Pep Guardiola nascono una volta ogni dieci anni e non spuntano
tra le cartine di bresaola e le scatole di Plasmon, ma questo ad Arcore, a
giugno, ancora non lo sapevano. Pippo è il nuovo prescelto, sarà il Conte rossonero,
il faro che illuminerà la rincorsa alla Champions: alla 20° giornata di
campionato, dopo la terza sconfitta nelle ultime quattro gare, la società è già
arrivata ad un bivio: Spalletti o Prandelli? Inzaghi non sembra già esser più
contemplato e quel pugnale fa male, perché già carnefice di mano assassina,
perché il ladro in salotto lo ha invitato proprio il padrone di casa, per la
seconda volta: sbagliare è umano, perseverare è diabolico, ma il Milan con il
Diavolo ha la corsia preferenziale.
‹‹Prima c’era il gioco del calcio, poi è arrivato il Milan.
Da quel momento tutto è cambiato.›› (cit. The
World Soccer, parlando del Milan di Arrigo Sacchi).
Ha scritto per voi e per Informazione Gialla, Stefano Uccheddu
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