martedì 27 gennaio 2015

Il binario della memoria

Le fabbriche della morte nella Polonia contemporanea

Il racconto di Evangelista Lino Chironna


C'era una volta Auschwitz. Ed è qui nasce il ricordo e la memoria di un viaggio. Questa città appesa tra passato e presente non concede nessuno spazio all'emozione. È il mondo che cambia, il futuro che corre, che vola come il vento. Il futuro anche dettato dal nuovo complesso industriale  che in questo luogo è stato costruito non lontano dai siti dove si sono consumate le tragedie dell'olocausto.

Ciò che descriverò sarà un breve asciutto racconto di viaggio, consegnato non come trasposizione emotiva, ma semplicemente come testimonianza del tempo e della memoria, intesa come storia.

Oświęcim è il nome di battesimo della cittadina polacca più nota come Auschwitz, distante circa 60 kilometri da Cracovia. La città fu occupata dalla Germania durante la seconda guerra mondiale e nel 1940 fu teatro di una delle più involute follie del genere umano rappresentato attraverso la conversione di caserme militari in campi di concentramento.

Tutto il resto è storia.

Ad Oświęcim si respira l'aria soffocante di un passato che (non) si vuole dimenticare ma allo stesso tempo, a stento, ha difficoltà a trovare una sua identità nel pieno dello sviluppo industriale, all'interno di un processo di investimenti in cui si è trovata la Polonia negli ultimi anni. Uomini e donne ancora distanti dall'occidente, negozi sprovvisti e odore di minestre povere. La piazza centrale è il nucleo del paese, dove si incontrano volti consumati dalla vodka e dal tabacco. L'emancipazione non ha ancora una forte impronta se non negli improvvisati locali notturni.

A poca distanza da questo scorcio di mondo, il campo di concentramento. Il mio è un vagare nella memoria delle sensazioni che cerco di cogliere. Nel parcheggio antistante l'ingresso una folla di turisti, anche sorridenti e urlanti, si accinge alla visita guidata. Se la storia non fosse immortalata dentro le nostre menti tutto sembrerebbe,  tranne l'ingresso ad uno dei luoghi più sanguinosi e turbolenti della storia del secolo scorso. Già il secolo scorso, che detto così sembra così lontano e invece ancora così vicino.

E appena abbandonato l'area merchandising che tutto cambia, i turisti urlanti vengono immersi in un profondo silenzio religioso e tutto d'improvviso diventa ricordo, emozione, abbandono.  Mi viene in mente una canzone di Francesco Guccini: "Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio".

All'interno si può tutt'oggi visitare il "Blocco della Morte", parte delle baracche carcerarie, i cancelli d'entrata ai campi, le garitte e le torrette delle SS ed il recinto di filo spinato. Alcuni edifici distrutti dai nazisti prima della fuga per cancellare le tracce dei loro crimini, come i forni del crematorio, il "Muro della Morte" e la forca collettiva, sono stati ricostruiti con gli elementi originali. Nell'area della prima parte del campo di concentramento si trova ora una mostra che presenta la storia del luogo e delle esposizioni nazionali. Nelle stanze dei blocchi 5 e 6 sono stati raggruppati gli oggetti ritrovati dopo la liberazione appartenuti ai deportati: scarpe e valigie con i cognomi e gli indirizzi degli ebrei deportati al campo di concentramento, bacinelle, protesi, occhiali, spazzole, capelli. Parte degli internati nei convogli che arrivavano erano portati direttamente al campo senza essere sottoposti a selezione. Lì morivano in seguito alla fame, alle esecuzioni, al lavoro sovrumano, alle punizioni, alle condizioni igieniche, agli stenti, alle malattie e alle epidemie.
Rimango in città ancora una notte. L'albergo è situato proprio davanti al campo di concentramento, o meglio ora, al museo. La strada antistante è buia, silenziosa e attraverso le finestre scruto le ombre delle garitte che i lampioni riflettono sul cemento. Nel silenzio assordante della sera riguardo alcune foto scattate.


"In certi momenti sogno, con le cuffie del mio I-POD alle orecchie, mentre corro o passeggio. Sogno tutti i colori del mondo, la freschezza del corpo, l’odore del mattino, la gioia. Cose che ad oggi sembro aver dimenticato. Piango e mi dispero, poi, guardo il cielo sgombro di nuvole, sospiro e spero in un nuovo giorno. Parlo con Dio al riparo di tutto e di tutti".


È già mattino e decido di visitare Birkenau, un vero e proprio campo di sterminio nel quale persero la vita oltre un milione e centomila persone, in stragrande maggioranza ebrei, russi, polacchi e zingari. Le vittime erano condotte alle camere a gas immediatamente dopo la tipica selezione degli inabili al lavoro agli arrivi dei convogli.

L'impatto con Birkenau non ha nulla in confronto con il precedente. È fredda la temperatura, ha piovuto per giorni e sono il primo visitatore autodidatta della giornata. Il vento soffia sopra la mia testa e appena giunto dinanzi all'ingresso tentenno. Solo, nell'immensità, nessun rumore e poi fango. Ed è qui accanto il binario della memoria che respiro morte. Aspetto, trattengo il fiato in un impeto di timore, poi pian piano mi avvio all'interno. Scatto qualche foto, osservo la vastità del territorio, le casupole dei "governanti", le baracche dei deportati, il filo spinato, le latrine ed i canali di collegamento.



È tutto grigio e marrone che in lontananza rispecchia e si fonde con il cielo plumbeo. I forni crematori sono andati distrutti o meglio cancellati dalla memoria. Mi avvio dentro un capanno. È buio, al centro un muretto largo mezzo metro lungo tutto il vano con sopra buchi approssimati per le feci e le urine. Saranno stati centinaia stipati lì dentro, un po' come un allevamento della morte di polli e maiali.
Giro un piccolo filmato poi, come afferrato dall'angoscia scappo fuori scivolando in una pozzanghera. Da fuori mi soffermo ancora un attimo.

La storia ci dice che in Germania prima dell' eccidio degli ebrei, si voleva fare una prova tecnica di sterminio contro 70.000 handicappati. Questo sterminio fu fermato grazie all'intervento della chiesa Luterana e Cattolica. Questo intervento non ci fu quando si parlò dell'eccidio degli ebrei.

È tutto qui.


Tratto dal libro : La notte
di ELIE WIESEL

….”Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.
Mai ...



da Auschwitz, per voi e per Informazione Gialla
Evangelista Lino Chironna








































































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