Le fabbriche della morte nella Polonia contemporanea
Il racconto di Evangelista Lino Chironna
C'era una volta Auschwitz. Ed è qui nasce il ricordo e la
memoria di un viaggio. Questa città appesa tra passato e presente non concede
nessuno spazio all'emozione. È il mondo che cambia, il futuro che corre, che
vola come il vento. Il futuro anche dettato dal nuovo complesso
industriale che in questo luogo è stato
costruito non lontano dai siti dove si sono consumate le tragedie
dell'olocausto.
Ciò che descriverò sarà un breve asciutto racconto di
viaggio, consegnato non come trasposizione emotiva, ma semplicemente come
testimonianza del tempo e della memoria, intesa come storia.
Oświęcim è il nome di battesimo della cittadina polacca più
nota come Auschwitz, distante circa 60 kilometri da Cracovia. La città fu
occupata dalla Germania durante la seconda guerra mondiale e nel 1940 fu teatro
di una delle più involute follie del genere umano rappresentato attraverso la
conversione di caserme militari in campi di concentramento.
Tutto il resto è storia.
Ad Oświęcim si respira l'aria soffocante di un passato che
(non) si vuole dimenticare ma allo stesso tempo, a stento, ha difficoltà a
trovare una sua identità nel pieno dello sviluppo industriale, all'interno di
un processo di investimenti in cui si è trovata la Polonia negli ultimi anni.
Uomini e donne ancora distanti dall'occidente, negozi sprovvisti e odore di
minestre povere. La piazza centrale è il nucleo del paese, dove si incontrano
volti consumati dalla vodka e dal tabacco. L'emancipazione non ha ancora una
forte impronta se non negli improvvisati locali notturni.
A poca distanza da questo scorcio di mondo, il campo di
concentramento. Il mio è un vagare nella memoria delle sensazioni che cerco di
cogliere. Nel parcheggio antistante l'ingresso una folla di turisti, anche
sorridenti e urlanti, si accinge alla visita guidata. Se la storia non fosse
immortalata dentro le nostre menti tutto sembrerebbe, tranne l'ingresso ad uno dei luoghi più sanguinosi
e turbolenti della storia del secolo scorso. Già il secolo scorso, che detto
così sembra così lontano e invece ancora così vicino.
E appena abbandonato l'area merchandising che tutto cambia,
i turisti urlanti vengono immersi in un profondo silenzio religioso e tutto
d'improvviso diventa ricordo, emozione, abbandono. Mi viene in mente una canzone di Francesco
Guccini: "Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio".
All'interno si può tutt'oggi visitare il "Blocco della
Morte", parte delle baracche carcerarie, i cancelli d'entrata ai campi, le
garitte e le torrette delle SS ed il recinto di filo spinato. Alcuni edifici
distrutti dai nazisti prima della fuga per cancellare le tracce dei loro
crimini, come i forni del crematorio, il "Muro della Morte" e la
forca collettiva, sono stati ricostruiti con gli elementi originali. Nell'area
della prima parte del campo di concentramento si trova ora una mostra che
presenta la storia del luogo e delle esposizioni nazionali. Nelle stanze dei blocchi
5 e 6 sono stati raggruppati gli oggetti ritrovati dopo la liberazione
appartenuti ai deportati: scarpe e valigie con i cognomi e gli indirizzi degli
ebrei deportati al campo di concentramento, bacinelle, protesi, occhiali,
spazzole, capelli. Parte degli internati nei convogli che arrivavano erano
portati direttamente al campo senza essere sottoposti a selezione. Lì morivano
in seguito alla fame, alle esecuzioni, al lavoro sovrumano, alle punizioni,
alle condizioni igieniche, agli stenti, alle malattie e alle epidemie.
Rimango in città ancora una notte. L'albergo è situato
proprio davanti al campo di concentramento, o meglio ora, al museo. La strada
antistante è buia, silenziosa e attraverso le finestre scruto le ombre delle
garitte che i lampioni riflettono sul cemento. Nel silenzio assordante della
sera riguardo alcune foto scattate.
"In certi momenti sogno, con le cuffie del mio I-POD
alle orecchie, mentre corro o passeggio. Sogno tutti i colori del mondo, la
freschezza del corpo, l’odore del mattino, la gioia. Cose che ad oggi sembro
aver dimenticato. Piango e mi dispero, poi, guardo il cielo sgombro di nuvole, sospiro
e spero in un nuovo giorno. Parlo con Dio al riparo di tutto e di tutti".
È già mattino e decido di visitare Birkenau, un vero e
proprio campo di sterminio nel quale persero la vita oltre un milione e
centomila persone, in stragrande maggioranza ebrei, russi, polacchi e zingari.
Le vittime erano condotte alle camere a gas immediatamente dopo la tipica
selezione degli inabili al lavoro agli arrivi dei convogli.
L'impatto con Birkenau non ha nulla in confronto con il
precedente. È fredda la temperatura, ha piovuto per giorni e sono il primo
visitatore autodidatta della giornata. Il vento soffia sopra la mia testa e
appena giunto dinanzi all'ingresso tentenno. Solo, nell'immensità, nessun
rumore e poi fango. Ed è qui accanto il binario della memoria che respiro
morte. Aspetto, trattengo il fiato in un impeto di timore, poi pian piano mi
avvio all'interno. Scatto qualche foto, osservo la vastità del territorio, le
casupole dei "governanti", le baracche dei deportati, il filo
spinato, le latrine ed i canali di collegamento.
È tutto grigio e marrone che in lontananza rispecchia e si fonde
con il cielo plumbeo. I forni crematori sono andati distrutti o meglio
cancellati dalla memoria. Mi avvio dentro un capanno. È buio, al centro un
muretto largo mezzo metro lungo tutto il vano con sopra buchi approssimati per
le feci e le urine. Saranno stati centinaia stipati lì dentro, un po' come un
allevamento della morte di polli e maiali.
Giro un piccolo filmato poi, come afferrato dall'angoscia
scappo fuori scivolando in una pozzanghera. Da fuori mi soffermo ancora un
attimo.
La storia ci dice che in Germania prima dell' eccidio degli
ebrei, si voleva fare una prova tecnica di sterminio contro 70.000
handicappati. Questo sterminio fu fermato grazie all'intervento della chiesa
Luterana e Cattolica. Questo intervento non ci fu quando si parlò dell'eccidio
degli ebrei.
È tutto qui.
Tratto dal libro : La notte
di ELIE WIESEL
….”Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo
visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la
mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per
l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio
e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a
vivere quanto Dio stesso.
Mai ...”
da Auschwitz,
per voi e per Informazione Gialla
Evangelista Lino
Chironna
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