40 metri avanti a tutti, ecco dove sfila l'ipocrisia
Il 13 gennaio è una data che ha
presentato al mondo i due rovesci della medaglia socio-politica mondiale.
Da un lato, più di un milione di
persone sfilava per i principali boulevard di Parigi esponendo slogan e
manifesti inneggianti alla libertà di stampa. 40 metri avanti a tutti, però,
sfilavano i capi di stato. Capi di stato che rappresentano pregi e difetti dei
paesi da essi governati. Capi di stato i cui armadi scoppiano di scheletri.
Ma partiamo dalla graduatoria
mondiale del 2013 circa la libertà di stampa redatta da Reporter senza
Frontiere (RSF)
Come si può ben distinguere dalla
mappa, gran parte dei capi di stato che sfilavano in pompa magna per le vie di
Parigi rivendicando la libertà di stampa, eseguono periodicamente censure e
tagli alla voce dei media locali. Gli unici stati a salvarsi sono quelli dell’Europa
del centro-nord (Germania, Danimarca, Svizzera, Olanda, Irlanda ecc..), quelli
della Penisola Scandinava (Finlandia, Svezia e Norvegia), Canada e Groenlandia,
Nuova Zelanda e, per finire, lo stato della Namibia.
Parliamo dei protagonisti

Secondo nell’elenco, ma non
secondo per ipocrisia, è il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita. Nel
Mali, infatti, tutti i giornalisti impegnati in reportage sull’abuso dei
diritti umani, vengono sistematicamente espulsi dal paese. Le differenze
socio-economiche dello stato malese si basano su una altissima soglia di
povertà e uno scarsissimo tasso d’istruzione. La sua controfigura del Gabon,
presente anch’esso alla marcia per la libertà di stampa di Parigi, è il
presidente Ali Bongo, negativamente famoso tra i giornalisti e i reporter di
tutto il mondo per la sua poca pazienza verso chi indaga sulle cause della
povertà nel suo paese, il Gabon.
Proseguiamo con il presidente
palestinese Abu Mazen, chiamato per controbilanciare la presenza di Netanyahu,
ha anche lui cattive relazioni con la libertà di stampa. Solo nel 2013, più di
50 giornalisti ed editori palestinesi sono stati incarcerati a causa del loro
pensiero stridente con quello del presidente Abu Mazen.
Arriviamo a Mohammed Ismail Al-Sheikh, ambasciatore saudita
a Parigi, rappresentante di uno stato che non brilla per le sue ottime
relazioni con giornalisti e, soprattutto blogger, moderni e ‘ribelli’.
Ultimamente, infatti, hanno fatto scalpore le frustate pubbliche inferte al
blogger Raif Badawi a causa delle sue ‘male parole’ nei confronti dell’Islam.
Ahmet Davutoglu, primo ministro del paese che occupa il 154°
posto nella classifica, la Tuchia, deteniene un macabro primato mondiale: il
numero di giornalisti incarcerati sotto la sua legislatura. La turchia,
infatti, si sta dimostrando – e si è dimostrata negli ultimi anni – un vero
incubo per la libertà di stampa e d’espressione. In molti ricorderanno
l’oscuramento del web e in particolare di YouTube voluto da Erdogan.
Sfila anche il ministro degli affari esteri egiziano Sameh
Shoukry, Egitto che nel solo 2014 ha visto 68
reporter arrestati e 195 quelli aggrediti, un vero pungo nello stomaco
alla libertà di Stampa. Eclatante il caso dei tre giornalisti di Al Jazeera,
Peter Greste, Mohamed Fahmy e Baher Mohamed, arrestati il 29 dicembre 2013
sospettati di essere vicini ai ‘Fratelli Musulmani’ e condannati a 7 anni di
carcere.

Senza nulla aggiungere su questi personaggi, è giusto mostrare la vera manifestazione, i veri interessati, i 'veri'.
Per voi, Gianluca 'Miguel' Minuto
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