giovedì 15 gennaio 2015

L'ipocrisia in pompa magna, un ashtag non fa la differenza

40 metri avanti a tutti, ecco dove sfila l'ipocrisia

Il 13 gennaio è una data che ha presentato al mondo i due rovesci della medaglia socio-politica mondiale.



Da un lato, più di un milione di persone sfilava per i principali boulevard di Parigi esponendo slogan e manifesti inneggianti alla libertà di stampa. 40 metri avanti a tutti, però, sfilavano i capi di stato. Capi di stato che rappresentano pregi e difetti dei paesi da essi governati. Capi di stato i cui armadi scoppiano di scheletri.

Ma partiamo dalla graduatoria mondiale del 2013 circa la libertà di stampa redatta da Reporter senza Frontiere (RSF)



Come si può ben distinguere dalla mappa, gran parte dei capi di stato che sfilavano in pompa magna per le vie di Parigi rivendicando la libertà di stampa, eseguono periodicamente censure e tagli alla voce dei media locali. Gli unici stati a salvarsi sono quelli dell’Europa del centro-nord (Germania, Danimarca, Svizzera, Olanda, Irlanda ecc..), quelli della Penisola Scandinava (Finlandia, Svezia e Norvegia), Canada e Groenlandia, Nuova Zelanda e, per finire, lo stato della Namibia.

Parliamo dei protagonisti

Iniziamo la presentazione con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Nella storia del suo governo si susseguono i sanguinosi conflitti con la Palestina, conflitti che hanno portato a migliaia di morti. Tra questi morti, solo nel periodo che va dal luglio al settembre dell’anno 2014, 17 giornalisti, palestinesi e non, hanno perso la vita nella Striscia di Gaza massacrati dai missili israeliani voluti da un premier che preferisce la violenza, l’incitazione all’odio e l’eccidio di innocenti rispetto al dialogo e all’armonia tra due popoli, quello ebraico e quello palestinese, che hanno sempre convissuto in armonia fino alla metà del secolo scorso.

Secondo nell’elenco, ma non secondo per ipocrisia, è il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita. Nel Mali, infatti, tutti i giornalisti impegnati in reportage sull’abuso dei diritti umani, vengono sistematicamente espulsi dal paese. Le differenze socio-economiche dello stato malese si basano su una altissima soglia di povertà e uno scarsissimo tasso d’istruzione. La sua controfigura del Gabon, presente anch’esso alla marcia per la libertà di stampa di Parigi, è il presidente Ali Bongo, negativamente famoso tra i giornalisti e i reporter di tutto il mondo per la sua poca pazienza verso chi indaga sulle cause della povertà nel suo paese, il Gabon.



Proseguiamo con il presidente palestinese Abu Mazen, chiamato per controbilanciare la presenza di Netanyahu, ha anche lui cattive relazioni con la libertà di stampa. Solo nel 2013, più di 50 giornalisti ed editori palestinesi sono stati incarcerati a causa del loro pensiero stridente con quello del presidente Abu Mazen.





Arriviamo a Mohammed Ismail Al-Sheikh, ambasciatore saudita a Parigi, rappresentante di uno stato che non brilla per le sue ottime relazioni con giornalisti e, soprattutto blogger, moderni e ‘ribelli’. Ultimamente, infatti, hanno fatto scalpore le frustate pubbliche inferte al blogger Raif Badawi a causa delle sue ‘male parole’ nei confronti dell’Islam.


Ahmet Davutoglu, primo ministro del paese che occupa il 154° posto nella classifica, la Tuchia, deteniene un macabro primato mondiale: il numero di giornalisti incarcerati sotto la sua legislatura. La turchia, infatti, si sta dimostrando – e si è dimostrata negli ultimi anni – un vero incubo per la libertà di stampa e d’espressione. In molti ricorderanno l’oscuramento del web e in particolare di YouTube voluto da Erdogan.



Sfila anche il ministro degli affari esteri egiziano Sameh Shoukry, Egitto che nel solo 2014 ha visto 68  reporter arrestati e 195 quelli aggrediti, un vero pungo nello stomaco alla libertà di Stampa. Eclatante il caso dei tre giornalisti di Al Jazeera, Peter Greste, Mohamed Fahmy e Baher Mohamed, arrestati il 29 dicembre 2013 sospettati di essere vicini ai ‘Fratelli Musulmani’ e condannati a 7 anni di carcere.



Anche il ministro degli esteri algerino Ramtane Lamamra era presente alla marcia di Parigi. Ministro di un paese che incarcerò il giornalista Abdessami Abdelhai per 15 mesi senza alcun capo d’accusa. Ministro di un paese che ignora il preoccupante tasso di povertà e miseria che contribuisce al reclutamento da parte dei gruppi estremisti operanti nella zona, di nuove unità cariche di speranze, ma spinte dalla fame.



Senza nulla aggiungere su questi personaggi, è giusto mostrare la vera manifestazione, i veri interessati, i 'veri'.





Per voi, Gianluca 'Miguel' Minuto





Nessun commento:

Posta un commento