Demirtas: la minaccia democratica curda al presidenzialismo del 'Sultano'
Il 'Sultano' Erdoğan - 61 anni compiuti a febbraio scorso, il presidentissimo della Turchia ha per anni tessuto con la maestria di Aracne e la pazienza di Penelope il complicato arazzo sociale e politico per raggiungere il tanto sospirato obiettivo: rendere la Turchia una repubblica presidenziale. Gli mancava davvero poco, 330 seggi erano il target minimo per ottenere la maggioranza assoluta e riaffermare il governo monocolore del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) da lui fondato e reso il primo del paese. Oggi, lunedì 8 giugno, si sa con quasi certezza che il principale antagonista di Erdoğan, Selahattin Demirtas, è riuscito ad arginare lo strapotere del Sultano ottenendo il 12,9% dei voti, superando la quota di sbarramento minimo posta al 10%.
Un paio di cose da sapere su Erdoğan - La carriera politica di Recep Tayyip Erdoğan inizia col finire degli anni '70 quando fonda il Partito del Benessere, di stampo marcatamente integralista pro-islamico, che porterà avanti fino al 1998. Proprio in quest'anno, Erdoğan viene incarcerato con l'accusa di incitamento all'odio religioso dopo aver proferito pubblicamente i seguenti versi del poeta Ziya Gökalp: "Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati...". Rilasciato lo stesso anno, si rimette subito in pista costruendo, mattone su mattone, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, più noto con l'acronimo AKP. A capo del neonato partito, nel 2002 riesce ad ottenere il 34% dei voti in tutto il paese, battuto solo dallo storico Partito Repubblicano (CMP). In seguito a queste elezioni, il partito AKP diviene sempre più popolare fino ad imporsi in toto nell'intera Turchia. Purtroppo per lui, la condanna gli pesa sul ruolo politico e per questo viene escluso dal corpo elettorale, così decide di appoggiare Abdullah Gül, il quale, divenuto Primo Ministro della Repubblica Turca il 18 novembre dello stesso 2002, gli passerà il testimone l'11 marzo dell'anno seguendo, spianando di fatto la strada all'egemonia di Erdoğan. Il 10 agosto del 2014 l'ultimo successo elettorale del Sultano alle elezioni presidenziali. Erdoğan domina incontrastato.
I provvedimenti adottati - Dal 2011 il partito AKP ha messo in atto una serie di provvedimenti per rendere meglio governabile il paese, avvicinandolo alla dottrina estrema del'Islam e sfociando, di conseguenza, in un radicalismo definito eccessivo dalle stesse comunità mussulmane presenti in Turchia. Si ricordino le restrizioni della libertà di parola e di stampa, il boicottaggio a Internet e ai social network, colpevoli di fare propaganda contro il totalitarismo in via di costruzione; si ricordi il divieto di consumare bevande alcoliche, il No deciso sul tema dell'aborto, il divieto di manifestazione, la reintroduzione al reato di blasfemia e la possibilità per le donne di vestire nuovamente il burka in luoghi pubblici (circostanza vietata fino al 2012).
La prima crepa: Piazza Taksim - Difficile da dimenticare l'ondata di proteste che ha investito la Turchia a cavallo tra il maggio e il giugno del 2013 portando una sommossa popolare in più di 48 province del paese. Ma ciò che ha catalizzato l'interesse dei media di tutto il mondo non è stato il sit-in al Parco Gezi, organizzato da una 50 di persone tra attivisti e dissidenti all'idea di veder sostituire l'area verde con un centro commerciale e alloggi di lusso, bensì l'eccessiva quanto violenta reazione della polizia nei confronti dei manifestanti. Non mi sembra necessario sottolineare che i motivi dello scontento generale non fossero attribuibili solamente all'opera di urbanistica, ma scaturissero da decisioni passate affini alla dittatura citate nel paragrafo precedente. Il governo Erdoğan rispose con la totale soppressione dei manifestanti dissidenti. Il bilancio finale, quando finalmente il Sultano decise di scendere a patti con i leaders degli oppositori, fu di 9 morti, 8163 feriti e 900 arresti.
Piazza Taksim invasa dai lacrimogeni lanciati ad altezza uomo dalla Polizia turca |
Il contatto con l'Islam - In Italia e in Europa conosciamo bene l'islamofobia imbrattata su alcuni quotidiani (Edizione de 'IL Giornale' successiva ai fatti di Parigi ndr.) e generalizzata dai mass media. Nel protrarsi degli scontri del 2013 tra forze dell'ordine e manifestanti, la moschea di Dolmabahçe aprì le sue porte per ospitare i feriti degli scontri. Ne seguì una durissima critica da parte del capo di stato, colpito nel suo punto debole, la religione. "Migliaia di oppositori sono entrati nella moschea con scarpe e birre in mano"; tempestiva la risposta dell'Imam "Nessuno è entrato con birre in mano, gli ospiti venivano trascinati in barelle improvvisate". Dunque anche la frangia moderata della religione islamica, quella grandissima fetta di credenti che non fa notizia perché troppo poco 'estrema' per esser presa in antipatia, stava puntando i piedi contro la feroce politica di Erdoğan.
La campagna elettorale del Sultano - Spaventato dall'improvviso cambio di marcia del partito del curdo Selahattin Demirtas, il presidente Erdoğan, lo scorso 4 giugno, ha deciso di sparare a zero sugli argomenti più a sfavore della sua campagna elettorale: i giornalisti, i gay e gli armeni. Il Sultano non ha risparmiato fiato per dar contro su ogni fronte a queste realtà così tanto avverse alla sua politica autoritaria, cercando il beneplacito delle frange di votanti più radicalI, conservatrici ed estreme. Lasciando poi uno sbrigativo quanto maldestro commento sull'avversario che rischia - e ci è riuscito - di minare tutti i suoi progetti: "Demirtas? È solo un intrattenitore da bar".
Selahattin Demirtas, la luce al fondo del tunnel? - "Lo Tsipras turco", "Il nuovo Obama", questi sono solo due dei numerosi appellativi ed epiteti con cui Demirtas è stato consacrato alla politica turca e alla scena mondiale. Gulay Icoz, uno tra i più autorevoli analisti politici turchi, lo ha descritto così: "La sua attitudine personale nel fornire il suo messaggio di tolleranza, inclusione e una democrazia a pieno titolo a un pubblico più grande ha sorpreso in molti". Dunque, caro Erdoğan, non proprio solo un 'intrattenitore da bar'. Demirtas era accreditato al 10,5%, quota lievitata fino a 12,9% alla fine dello scrutinio. Appoggiato dai bersagli del Sultano - giornalisti dissidenti, comunità lgbt, curdi e armeni - il nuovo candidato conta nel totale dei voti ricevuti ben il 78% di ellettori strappati al partito AKP. Un brusco risveglio per il presidente.
Gli scontri - Si sono registrati pochi casi isolati di scontri nel periodo elettorale, i più significativi sono l'attentato del 5 giugno scorso al comizio curdo di Diyarbakir, dove sono morte 4 persone e rimaste ferite altre 350, e lo scontro avvenuto solo ieri presso un seggio elettorale a Sanliurfa.
La paura dei brogli - Lo spettro delle elezioni amministrative del 2014, quando un misterioso blackout piombò proprio (e guarda caso) durante lo spoglio, aleggiava sulle urne nella giornata di ieri. Per evitare qualsiasi problema si sono organizzati servizi d'ordine in tutte le città fino ad arrivare ad un totale di 100 mila cittadini controllori.
Il risultato di oggi - 53 milioni di elettori turchi sono stati chiamati alle urne per decidere il futuro della nazione. Il partito HDP dell'emergente Selahattin Demirtas ha raggiunto il 12,9% aggiudicandosi tra i 50 e i 60 deputati e rimandando il cambio della costituzione previsto da Erdoğan che non arriva matematicamente ai 330 seggi per imporlo. La Turchia, quindi, vede ancora vincitore Erdoğan, ma con un'ombra di democrazia che non è mai stata così profonda per il Sultano che non può certo dirmi tranquillo per l'avvenire del suo partito.
Gianluca Minuto
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