martedì 14 luglio 2015

L' Uruguay: la giusta Atene tra Persia e Sparta

La storia 'Celeste'



Un articolo di Stefano Uccheddu

La Celeste, per i suoi colori, per la sua impronta nella storia del calcio, è sempre stata una delle Nazionali più ostiche e mistiche. L'Uruguay si regge sulla grande acropoli di Montevideo che troneggia sulla grande agorà, mercato di grandi giocatori, denominata Penarol.

Nel 1930, il mondiale di calcio si gioca e si vive a Montevideo, ascoltando il suono del vento che porta uno strano odore di selvaggina, misto a canti e balli gioiosi, quasi carnevaleschi. Il clima è fantastico, la situazione logistica meno: l'Estadio Centenario, così verrà ribattezzato qualche anno più tardi, non è pronto, ma la gente di Montevideo è straordinariamente umana: oltre metà dei 600.000 abitanti della capitale aiutano nei cantieri barcollanti e portano a termine una missione impossibile.
Si è giocato un primo storico mondiale dove proprio la Celeste, sorretta dalle mani dei suoi tifosi, alzerà al cielo la allora Coppa Rimmel, proprio contro i rivali albicelesti, proprio contro i cacciatori della Pampa: cade Buenos Aires sotto i cuori uruguayani.

Ma la mediazione socio-culturale raggiunge il proprio culmine nel 1950, quando il Maracana si tinse di Celeste secondo alcuni, quando anche il Cristo pianse sangue: il Brasile ha subì la stessa sorte degli odiati argentini, perché nel Maracanazo cadde anche la Persia dopo Sparta

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